
Jean-Luc Gilabert, among many, likes a clean, tidy underwood. However, to let the wood rotting on the ground is sometimes the only solution to enable the growth of seeds.



Roland Metral taught us to tell the difference between a silver pine and a red pine. Turn the branch, look at the back of the leaves: the silver pine's needle features two white lines. If you tear it apart, it smells like tangerine. We could see just one silver pine.






The valley is inhabited by men for thousands of years. Wood and animals have been essential resources to exploit and tame.

There's no such thing as natural forest here. What we see is techno-nature. Humans are a species.

It takes decades for a tree to rot, here. Animals and trees share the same space, but their lifespans are incomparable.




Tree felling is permitted by law, on condition that a new tree is planted – usually, a red pine: this alien species grows faster than the native silver pine, enabling an easy turnover of this resource.



Val d'Illiez' forest is populated by too many deers. They love eating silver pine: an autochthonous tree species that is now struggling to survive.



The woodpecker uses its long tongue as a tactile organ. This extends four centimeters beyond the beak, identifying and bringing out insect larvae hidden at the bottom of the deepest tunnels.
The first wolf came here from Abruzzo, in Italy, in 1995.



Wolves try to economize their walking patterns to avoid being tracked by other animals: they sometimes put their hindpaw in the very same track as their forepaw.
It's hard to tell the difference between a wolf or a dog's footprint, so you need to analize their behaviour: a dog would cross the road, stop a while, sniff around, get a little lost; while a wolf would go straight ahead.



Wolves' scat are made by hair, little bones and cartilages of their preys. Giacinthe puts her foot in the framing to give a reference measurement of the scat. She'll come back later to collect it for genetic analysis.



The scat is not very recent, but still it's likely to find carcasses around. We find several. In this enchanted grassland, there was a huge wolf attack some months ago.
During the night, the forest is noisy. Animals wake us up, trying to break into the house.
(turn the volume up and tap the spotlights)
From the field



Giacinthe takes us on her daily tour to check the videotraps she and Jean-Marc placed around the forest. She lives in a isolated caravan that gets very cold in the night.



We search the place with termal cameras and binoculars. The weather was warm today, so the trees look brightly white on the screen.
We watch videos of deers, rabbits, foxes, badgers, cows, humans. When a wolf appears on the screen, Giacinthe change the SD card of the videotrap with a new one, and takes note of the sighting. Then, she synchronizes the time of the videotrap: sometimes even a one minute shift could determine which wolf we're looking at.
Many wildlife photographers come to the Jura to shoot images of the wolves. Neil has a perfect disguise to hide in the nature, and when he doesn't trust a guy, he gives him poor informations.

In the night wild animals usually walk on the same paths as humans, so to find their tracks we start on a proper trail.
We're in the area where wolves hide and rest during the day. Jean-Marc warns us not to cross there: it's their place – a beautiful, peaceful place.
We sleep at François' farm. He takes care of 180 cows that graze freely around the valley and the forest. They're just in the middle of wolves' hunting territory.
Cows are changing their behaviour, lately, because of the presence of six adult wolves and their packs – there are signs around warning people to watch out for cows these days.



Fog completely hides the sunrise and the cows. The music of the bells sounds like Gamelan to Annamaria.
There's full moon tonight. We go howling with Jean-Marc, but we need to find an isolated place or cows will get scared. Jean-Marc tells us to touch the palate with our tongue while howling. Then, to put the hands behind our ears and push forward, trying to catch a reply.

Baptiste Morizot
Sulla pista animale
Un'arte di trasformarsi
Seguire la pista di un animale, vedere con gli occhi di un altro: se guardiamo con attenzione, tutto questo ha quasi a che fare con la magia e con quelle metamorfosi all'opera nei rituali sciamanici, in cui lo sciamano arriva a trasferire il suo spirito nel corpo di un animale. Come sostiene Louis Liedenberg: “Seguire una pista implica un'intensa concentrazione che deriva dall'esperienza soggettiva di proiettare se stessi nell'animale. Le tracce indicano che l'animale inizia a essere stanco: la sua falcata diventa più corta, sposta più sabbia e le distanze tra i luoghi di riposo si riducono. Quando seguiamo le tracce di un animale, bisogna cercare di pensare come un animale per predire dove andrà. Guardando le sue tracce, si possono visualizzare i suoi spostamenti. Quando siamo sulla pista di un animale e proiettiamo noi stessi nell'animale, forse la cosa più significativa che accade è che talvolta ci capita di sentire che siamo diventati l'animale stesso – è come se riusciste a sentire i movimenti del corpo dell'animale del vostro stesso corpo.”
Quest'attitudine gioca un ruolo decisivo nella trasformazione dei nostri rapporti con il mondo vivente. Esige che si presti attenzione a ciò che le conoscenze non naturalistiche, non occidentali del mondo, possono insegnarci sullo scambio con le altre specie.
Presso i popolo animisti, lo sciamano p lo specialista della conoscenza e del negoziato con i non umani, in particolare gli animali. Ma, per negoziare, bisogna passare da una specie all'altra, e questo non può accadere spontaneamente e senza fatica, perché lo scarto tra le forme di vita implica un cambiamento di prospettiva sul cosmo: è quello che ci insegna il prospettivismo amerindio. Di conseguenza, il tracciamento arricchito filosoficamente deve essere prospettivista. Il prospettivismo è un concetto antropologico elaborato dallo studioso brasiliano Eduardo Viveiros de Castro, a partire dal sistema simbolico che costituisce lo sciamanesimo amerindio. Il prospettivismo è una posizione ontologica presente in numerosi popoli del Nuovo Mondo che condividono l'idea secondo la quale “il mondo è composto da molteplicità di punti di vista: tutti gli essere esistenti sono centri d'intenzionalità, che comprendono gli altri esseri esistenti secondo le loro rispettive potenze e caratteristiche”.
Cosa c'è allora di veramente prospettivista in questo tracciamento arricchito filosoficamente?
In occasione di una seduta di tracciamento nella primavera del 2015, seguivo traccia dopo traccia la pista di una lupa nell'argilla, quando su un sentiero incappai in una lastra di pietra molto lunga e larga. Nessun segno di artigli sulla roccia o sul muschio. A quel punto alzai la testa e vidi, in lontananza dietro la lastra, un passaggio della boscaglia, tra i ginepri, che avrebbe potuto attirare il suo occhio e il suo desiderio di penetrarvi. Seguendo il cammino immaginario, ritrovai velocemente le sue tracce nel fango di questo piccolo sentiero; e c'era lo stesso artiglio spaccato sull'anteriore destro: era la mia femmina. Sulla successiva lastra la persi di nuovo, ma il calcare formava delle strettoie che canalizzavano lo spostamento e così, scegliendo quella che seguiva il senso profondo del suo movimento, ritrovai di nuovo la sua traccia un uno di questi valloni. Che cosa succede sul campo e nel nostro intimo quando seguiamo le tracce di un vivente? vedere con gli occhi di una altro. Un istante di indistinzione tra le specie.
A volte mi sembra che nella foresta il tracciamento sostituisca, sotto i nostri piedi e alle nostre spalle, un'ontologia a un'altra: lo schema naturalista diviene prospettivista, si tinge di animismo, si mescola, si chimerizza. Come i prestigiatori tolgono la tovaglia senza far cadere i piatti, ritroviamo furtivamente sotto i nostri piedi, sul suolo che scrutiamo, un'altra carta del vivente in scala 1:1 – un'altra ontologia da esplorare e condividere. Il tracciamento è una pratica su piccola scala che ci fa circolare tra i mondi, tra le ontologie. Come funziona questo gioco di prestigio? Che tipo di spostamento ha luogo quando sentiamo di vedere con gli occhi di un altro?
È una questione piuttosto delicata. È una trasmigrazione dell'anima? È la mente umana a cambiare corpo? Tutto questo è decisamente troppo spettacolare, fin troppo mistico, e anche troppo occidentale. È affascinante che questa questione renda visibile come il senso dei concetti di mente e corpo cambi radicalmente se si è naturalisti o animisti.
La nostra tradizione culturale ha i sui modi specifici di pensare ai viaggi da un corpo a un altro: reincarnazione, metempsicosi, viaggio astrale. La metempsicosi, per esempio, designa il passaggio da un'anima in un altro corpo, umano o animale, vegetale o minerale. Il filosofo Apollonio di Tiana racconta che, vedendo un leone, riconobbe un'incarnazione del faraone Amasi (secondo Filostrato d'Atene, nella sua Vita di Apollonio di Tiana, V, 42). Il tema del viaggio astrale è un'espressione dell'esoterismo che delinea l'idea che lo spirito si dissoci dal corpo fisico per vivere un'esistenza autonoma ed esplorare liberamente lo spazio circostante.
Quando parliamo di tracciamento non ci riferiamo affatto a questo genere di esperienza: è decisamente qualcosa di più terra terra. Siamo chinati nella foresta su un escremento qualsiasi, e si tratta di ritrovare la pista che abbiamo perso nel fango. Non c'è un atomo di misticismo in questa faccenda – se non quello della vita stessa. In questa metamorfosi che cerchiamo di descrivere, non c'è nessuna possibilità di esplorare liberamente lo spazio circostante, come un fantasma che voli di qua e di là: tale processo è decisamente limitato, e non è affatto volteggiante o sovrastante. Limitato da cosa? È il nocciolo della questione. Perché il punto fermo del movimento che caratterizza l'esperienza del tracciamento è il corpo: non viaggiamo fuori dal corpo, e non c'è nessuno da cui uscire. C'è solo il corpo. ma non è lo stesso dei naturalisti: il corpo-materia veicolo dello spirito disincarnato. Allora, di cosa si tratta?
Torniamo ancora sulla sensazione enigmatica che quando tracciamo, ci spostiamo nell'animale: ma cosa si sposta dentro cosa?
Così come non è l'anima a cambiare corpo, non è l'apparato percettivo di un altro animale a essere preso in prestito dall'essere umano, come in quelle esperienze di tecnologia virtuale con caschi e schermi che fanno vedere i colori che vede l'occhio di un canide, oppure i tipi di contrasto di un occhio tetracromatico d'uccello o di un occhio di mosca. Tutto questo è certamente interessante, ma rientra sempre in una concezione spiritualista e dualista della mente, che disarticola, da un lato, la percezione dalla mente e, dall'altro, l'azione del corpo.
Nel tracciamento accade tutt'altro: mi sembra che quello che vediamo quando intuiamo di vedere con gli occhi di un altro animale è ciò che il suo stesso corpo vede, in senso prospettivista, ossia le sue stesse affordances [inviti all'uso]. Ovvero gli specifici “inviti” del suo corpo.
Gli inviti vengono definiti dallo psicologo della percezione visiva James J. Gibson come le “singolari possibilità d'azione di un determinato corpo in un ambiente condiviso”. La specificità del corpo fa protendere dei particolari tipi di inviti nell'ambiente che ci circonda: ogni albero, ruscello, guado, tana di arvicola, crinale, marcatura territoriale, suggerisce un'azione diversa in funzione della forma di vita di colui che percepisce. Un invito è come un incitamento a lanciarsi in quell'azione, a comportarsi in un modo o in un altro, che non ha bisogno di passare attraverso la coscienza per essere seguito.
Per esempio, quel valico là in alto dove convergono i sentieri e gli odori che salgono dalle due valli è un invito per il lupo: lo invita a marcare il territorio così come a raccogliere il paesaggio di odori che salgono intensamente verso di lui.
Altro esempio ancora, per un animale capace di prensione, la maniglia di una porta costituisce un invito a girarla che sfugge agli altri animali. Per un animale territoriale, una marcatura odorifera costituisce un invito a ispezionare e a rispondere, mentre gli erbivori non mostrano alcun interesse per questa cosa. Una conifera solitaria in una faggeta pirenaica è un invito per un orso che cerca un albero con le giuste caratteristiche per grattarsi (ed è per questo che nel cuore della foresta si possono trovare i suoi peli attaccati alla resina delle conifere), mentre gli altri animali non la notano neanche. Per una pantera delle nevi un masso inclinato è un invito alla marcatura geopolitica, un invito a indicare la sua presenza e il suo desiderio alle altre pantere, mentre per uno stambecco è un invito a proteggersi dal temporale, e per un avvoltoio dell'Himalaya è un invito ad appollaiarsi.
Stella Succi
Una persona che danza è coscienza incarnata. Guardo Annamaria costruire lo spazio con il corpo e reagire agli oggetti attorno a sé. Dobbiamo immaginare che questo parquet, questo specchio, questa sbarra immobile nella sala prove sotterranea della Triennale brulichino di vita. Lo suggeriscono i gesti. L'ululato di Annamaria riverbera con le vibrazioni dell'impianto di areazione. Sperimentiamo sistemi percettivi sofisticati.
Leggiamo saggi e racconti. Nei nostri laptop guardiamo ipnotizzate le riprese di webcam ai quattro angoli della terra, spiamo animali selvatici che camminano sulla neve, nei boschi, che sostano ai bordi di laghi fangosi per abbeverarsi. Non è possibile sfondare la barriera tra il corpo umano e quello di un'altra specie: il mistero dell'Altro non si svelerà mai. Ma lo sforzo di prenderne in prestito lo sguardo è indispensabile.
La notte è il mio giorno preferito è una frase di Emily Dickinson tratta da una lettera a Otis Philips Lord. Un titolo arrivato senza che nessuna l'abbia mai deciso: la ricerca ci porta sempre verso l'oscurità. Quando Marie-Thérèse Sangra ci porta nella foresta di Val d'Illiez, ci dice che gli animali sono diventati notturni per sfuggire al loro predatore più pericoloso.
Nella valle non c'è bisogno di stare attenti per ascoltare gli animali. Quando cala il sole si aggirano attorno allo chalet, camminano sulle assi di legno e cercano di entrare. La mattina Annamaria prepara la colazione. Ci fa ascoltare i versi che ha registrato in una passeggiata notturna e i versi con cui ha risposto ai richiami: lasciandosi scoprire ha creato un'estensione dello spazio. La notte seguente camminiamo con lei. Alla luce della luna il bosco si muove così rumorosamente che, da sdraiato, sembra voglia alzarsi in piedi.
Il bosco è sovrappopolato di cervi. Quando invitiamo Roland Metral a bere un caffè prima di inforestarci, poggia sul tavolo della cucina una manciata di cacche di cervo. Somigliano a olive nere lisce e il suolo della foresta ne è pieno. Tra un mucchio di cacche e l'altro, impariamo a riconoscere le impronte degli ungulati, a vedere i resti del pasto di uno scoiattolo, a rintracciare i ciuffi di pelo incastrati nelle recinzioni. Seguiamo le piste animali e ci esercitiamo a indagarne le scelte e le direzioni. Natalia monta una video-trappola a infrarossi, Annamaria si mette a quattro zampe, si abbassa per trovare la dimensione media di un animale selvatico. Sistemiamo l'inquadratura. Ci accorgiamo che stiamo lavorando nella giusta direzione. L'ombra, le tracce, la presenza e l'assenza che stiamo lentamente costruendo sul palco.
Salvaguardare la foresta è terribilmente complesso. Le persone che incontriamo ce lo spiegano con pazienza. Il primo lupo è arrivato nel Vallese nel 1995 dall'Abruzzo e oggi sono poco più di un centinaio. Non attaccano gli esseri umani (troppo pericolosi) né i cervi o la selvaggina (troppo difficili). Tra i greggi che pascolano nel Vallese ci sono anche le settecento pecore di Roland Hammel: per ora nessun attacco. Quando un lupo attacca, l'istinto gli dice di non fermarsi finché tutto non è quieto. Le pecore durante gli attacchi vanno in panico e, anche se non ne hanno bisogno, i lupi arrivano a ucciderne decine in una volta sola.
Il lupo è il più talentuoso cacciatore della Valle, il più capace a immedesimarsi nella preda. Gli ululati delimitano lo spazio con certezza. Il lupo è un predatore lanciato contro le tecnologie che hanno plasmato questo territorio nel corso di migliaia di anni. Una tecnonatura che continuamente sfida l'equilibrio.
Jean-Luc Gilabert ha un'anima ordinata. Ritrae le proprie mucche e vorrebbe un sottobosco pulito. Ma la foresta per sopravvivere ha bisogno che la legna marcisca al suolo, che si ricopra di muschi, funghi, semi. Dopo un anno di vita, un abete è alto pochi centimetri: è fatto di un solo ago. Un tronco, in questa valle umida, impiega almeno cinquant'anni a decomporsi. Il tempo della foresta per noi è una notte da intuire, strizzando gli occhi per provare a vedere, accucciandoci al suolo con l'umidità che attraversa i pantaloni e il muschio che bagna le ginocchia. Lasciamo una traccia: cosa ci seguirà?
Franz Kafka
La tana
Ho assestato la tana e pare riuscita bene. Dal di fuori, in verità, si vede soltanto un gran buco che però in realtà non porta in nessun luogo. Già dopo pochi passi s'incontra la roccia naturale e solida. Non voglio vantarmi di aver adottato questa astuzia con intenzione, fu piuttosto l'avanzo di uno dei tanti vani tentativi di costruzione, ma infine mi parve vantaggioso non colmare quest'unico buco. Certo ci sono astuzie così sottili che si stroncano da sole, lo so meglio di qualunque altro, ed è certamente temerario richiamare con questo buco l'attenzione sull'eventualità che qui ci sia qualcosa che metta conto d'indagare. Ma non mi conosce chi pensa che io sia codardo e scavi questa tana soltanto per vigliaccheria. Ad almeno mille passi di distanza da questo buco si trova, coperto da uno strato spostabile di musco, il vero accesso alla tana che è al sicuro come può essere sicuro qualcosa al mondo; si sa, qualcuno potrebbe montare sul musco o urtarlo e allora la mia tana sarebbe aperta, e chiunque ne abbia voglia - vi sono però necessarie beninteso anche certe capacità non troppo frequenti - può penetrarvi e distruggere tutto per sempre. Lo so benissimo e la mia vita, neanche ora che è al suo culmine, ha un momento che sia veramente tranquillo; là in quel punto del musco opaco posso essere colpito a morte e nei miei sogni c'è spesso un grugno bramoso che vi annusa continuamente. Realmente avrei potuto, si dirà, chiudere questo buco d'entrata, al di sopra, con uno strato sottile di terra battuta e più sotto con terra friabile in modo che bastasse un piccolo sforzo per aprirmi ogni volta la via d'uscita. Eppure non è possibile; proprio la prudenza m'impone di avere un'immediata possibilità di sfogo, la prudenza stessa esige, come purtroppo tante volte che si metta a repentaglio la vita. Tutti questi son calcoli molto faticosi, e la gioia che il cervello intelligente ha di se stesso è talvolta l'unico motivo perché si continui a calcolare. Devo avere l'immediata possibilità di evasione; infatti, nonostante la vigilanza non potrei essere aggredito da una parte assolutamente imprevista? Vivo in pace nella parte più interna della casa, e intanto il nemico mi si avvicina da qualche parte scavando lento e silenzioso.
Anna Maria Ortese
Corpo Celeste
Che idea, dunque – letteratura a parte — ti fai o ti sei fatta, dell'uomo?
Di uno che vive in un posto non suo. Cosi – non suo, non dell'uomo – mi appare l'universo quando lo spenso, non tanto al lume della ragione umana, ma di fronte ad essa. Un luogo estraneo totalmente alla ragione, dove la ragione non ha senso, un luogo nemico, profondo, senza luce, senza indicazioni, senza direzioni senza nome. Noi diciamo sole, ma chi l'ha detto che il sole è il sole? Cosi di tutto. Nessuno ha mai detto niente su cosa significhi o da dove sia uscito tutto questo. L'universo – o gli Universi – sembrano dunque il vero Irreale, il luogo non pensabile o non pensato. E davanti ad esso, anche la natura della terra – la flora, la fauna, entro l'atmosfera, le acque – diviene, così già a lungo pensata dalla ragione, e così certamente dolorosa nella catena di necessità, e di sopravvivenza del più nuovo e del più forte, diviene un po' umana. Spesso matrice di umano e specchio della stessa ragione. Vediamo straordinarie illuminazioni nella natura, solidarietà da creatura a creatura, appena interrogata, quasi a livello di sogno. Sì, la natura – animali, alberi – sono l'uomo senza la difesa dell'intelligenza razionale, sono l'uomo senza tempo, l'uomo che sogna. Così, chi sottomette con durezza, o mercifica o tormenta comunque la Natura, nei suoi figli che dormono, o la guarda senza pietà o fraternità, è ancora sempre il temibile uomo-nature, uomo-pietra, l'uomo appunto, che dorme. La ragione non sottomette né mercifica nulla. Ma eleva tutto alla propria comprensione, e la propria comprensione mette a disposizione di ogni vivente.
Gilles Deleuze, Félix Guattari
Gilles Deleuze
L'abecedario
A di animale
Claire Parnet: Da qui il tuo rapporto animale/scrittura, perché anche lo scrittore ha un mondo…
Gilles Deleuze: È più complesso. Sì, ci sono altri aspetti, non basta avere un mondo per essere un animale. Ciò che mi affascina più di tutto sono le questioni relative al territorio. E con Félix Guattari abbiamo quasi fatto un concetto filosofico dell'idea di territorio. Ci sono anche animali senza territorio, ma quelli con un territorio sono prodigiosi. Costituire un territorio per me è quasi la nascita dell'arte. Quando vediamo come un animale delimita il proprio territorio, tutti lo sanno, tutti hanno sentito la storia delle ghiandole anali, dell'urina con cui l'animale segna i confini del proprio territorio. Ma c'è molto di più. delimitare il territorio ci sono anche una serie di posture, per esempio abbassarsi/alzarsi, una serie di colori. Il babbuino, per esempio, i colori delle chiappe dei babbuini, che esibiscono al confine del territorio. COLORE, CANTO, POSTURA, sono le tre determinazioni dell'Arte. Vale a dire: il colore, le linee – le posture animali possono essere vere e proprie linee – colore, linea, canto, è pura arte. E quindi quando escono o quando rientrano nel proprio territorio, il loro comportamento. Il territorio è il dominio dell'avere. È curioso che si sia nell'avere, cioè nella proprietà, le mie proprietà, al modo di Beckett o di Michaux. Il territorio concerne la proprietà dell'animale e uscire dal territorio è avventurarsi. Ci sono animali che riconoscono i propri congiunti, li riconoscono nel proprio territorio, non fuori.
Gilles Deleuze, Félix Guattari
Capitalismo e schizofrenia
Un divenire non è una corrispondenza di rapporti. Ma non è neppure una rassomiglianza, un'imitazione e, al limite, un'identificazione. Tutta la critica strutturalista della serie sembra inattaccabile. Divenire non è né progredire né regredire secondo una serie. E soprattutto non si fa divenire nell'immaginazione, anche quando l'immaginazione raggiunge il più elevato livello cosmico o dinamico, come in Jung o Bachelard. I divenir-animali non sono sogni né fantasmi. Sono perfettamente reali. Ma di quale realtà si tratta? Perché, se divenire animale non consiste nel fare l'animale o nell'imitarlo, è ovvio anche che l'uomo non diviene "realmente" animale più di quanto l'animale non diventi "realmente" qualche cosa d'altro. Il divenire non produce nient'altro che se stesso. È una falsa alternativa che ci fa dire: o si imita o si è. Ad essere reale è il divenire stesso, il blocco di divenire, e non l'insieme dei termini che si suppongono fissi e per i quali passerebbe colui che diviene. Il divenire può e deve essere qualificato come divenir-animale senza avere un termine che sarebbe l'animale divenuto. Il divenir-animale dell'uomo è reale, benché non sia reale l'animale che egli diviene; e, simultaneamente, il divenir-altro dell'animale è reale benché tale altro non lo sia. Bisognerà spiegare questo punto: come un divenire non possa avere soggetto distinto da se stesso.
Infine, divenire non è un'evoluzione, almeno non un'evoluzione per discendenza o filiazione. Il divenire non produce nulla per filiazione, ogni filiazione sarebbe immaginaria. Il divenire è sempre di un ordine diverso rispetto a quello della filiazione. È alleanza. L'evoluzione comporta veri divenire ed è nel vasto campo delle simbiosi che mette in gioco esseri di scale e regni del tutto differenti, senza alcuna filiazione possibile. […]
Il divenire è involutivo, l'involuzione è creatrice. Regredire, è andare verso il meno differenziato. Ma involvere è formare un blocco che fila secondo la propria linea, "tra" i termini messi in gioco e secondo i rapporti assegnabili. […]
Divenire non è certamente imitare né identificarsi, non è neanche regredire-progredire; e nemmeno corrispondere, stabilire rapporti corrispondenti; infine non è produrre, produrre una filiazione, produrre per filiazione. Divenire è un verbo che ha tutta la sua consistenza; non si riduce e non ci conduce ad "apparire" né a "essere" né a "equivalere" né a "produrre".
In un divenir-animale, si ha sempre a che fare con una muta, con una banda, con una popolazione, con un popolamento, insomma con una molteplicità.